di Chiara Ursino –
Riprendo la mia rubrica dopo un po’ di silenzio per motivi di studio e lo faccio con la storia di una giovane ragazza di Pompei conosciuta durante il viaggio a Medjiugorie; da allora non ci siamo più staccate, non so perché o forse si. È nata una sintonia particolare che stiamo costruendo giornalmente. Ho deciso, quindi, di farvi conoscere Federica, per permettervi di viaggiare ancora una volta nel mondo della disabilità.
Federica, una ragazza con disabilità, di 19 anni. La gravidanza della mamma e il parto sono stati nella norma, non facevano presagire nulla di problematico. Cresceva come tutti i bambini, ma appena veniva messa in posizione eretta perdeva subito l’equilibrio.
Il medico sosteneva che era una bambina sanissima e che non tutti i bambini camminano a un anno: doveva assumere semplicemente più ferro. Federica continuava a rispettare i canoni di crescita normale, ma qualcosa di anomalo c’era: continuava a non camminare né a gattonare. Dopo i tre anni nulla era cambiato, ma si continuava a pensare che si trattasse di una situazione che transitoria, un semplice ritardo.
I genitori di Federica, preoccupati, consultano un altro medico, per avere ulteriori spiegazioni o chiarimenti. Solo allora prendono coscienza che si tratta di una patologia che avrebbe accompagnato Federica per il resto della sua esistenza.
Da quella visita se ne vanno a casa si con una diagnosi precisa: SMA. Inizia, per Federica e la sua famiglia, una nuova fase della vita.
Federica racconta che vivere una disabilità non è facile e ognuno l’affronta a modo suo.
“Io l’ho sempre affrontata con il rifiuto – dichiara Federica – infatti non ho mai avuto un insegnante di sostegno, perché i miei amici mi aiutavano a prendere e posare i libri nella borsa, e alla fine mi serviva solo quello come aiuto. Sin da piccola avevo detto a mia madre che mai e poi mai avrei voluto un insegnate di sostegno, anche solo per prendere i libri dalla borsa, e adesso mi rendo conto di quanto non mi accettassi già a quell’età. La mia disabilità non è mai stata un ostacolo per la mia vita sociale, questo grazie a tutti i miei amici, che mi hanno sempre fatto fare tutto quello che facevano loro (anche le corse, spingendomi). Naturalmente, non posso dire che, avere una disabilità, sia una passeggiata, anzi! Le brutte esperienze ci sono state in tutti i campi (scolastico, affettivo-relazionale) ma, per fortuna, la sedia non è mai stata tanto uno ostacolo per la mia accettazione. Ora, però, credo sia arrivato il momento di fare un percorso diverso: provare ad accettarmi.
Può sembrare una frase fatta ma in questa società conta di più avere un fisico bello, anziché un cervello funzionante.
Per esempio, se non siamo una taglia 40, ci mettiamo a dieta. Se abbiamo un brutto naso, ci operiamo, ma se abbiamo una disabilità? Il disabile oggi giorno si sta accettando a piccoli passi. Perché puoi essere anche una bellissima ragazza e che ragiona, ma se stai sulla sedia sei sempre un gradino sotto.
La società prima di tutto deve capire che se stiamo sulla sedia non vuol dire che abbiamo un ritardo, e non tutti abbiamo la stessa patologia; perché quando si pensa a una ragazza/o sulla sedia subito viene in mente: ah non sente le gambe! La società deve imparare e insegnare che essere diversi non è cosi male. Pur essendo una ragazza sulla sedia a rotelle tengo al mio aspetto come tutte le altre. Anzi, forse un poco in più.
Sarebbe inutile dire che le persone non mi guardano: cerco sempre di avere i capelli a posto, un trucco leggero e vestiti non dico alla moda, perché non la seguo, ma quello che mi sta bene, perché mi sento molte volte come sotto esame! Devo ammettere che non mi sono sentita sempre accettata dalla comunità, forse dipende da dove vai e da chi incontri. Per fortuna non siamo tutti uguali.
Ho avuto la fortuna di avere fin da piccola delle amicizie che son durate nel tempo. Mi hanno aiutato a non pensare e mi hanno insegnato che avrei dovuto colpire per il mio carattere e non per la sedia. La società mi fa un poco paura, perché è ancora ignorante sulla disabilità, ma se mi giro, vedo tutti i miei amici che mi dicono: fai vedere chi sei! Fai vedere quanto sei forte e indipendente. Quindi, a questa piccola paura, si affianca un gran leone, per cambiare le cose. La società dovrebbe eliminare la parola disabile, perché se incominciano a chiamarci solo persone, già è un passo ma un enorme passo, verso l’uguaglianza.
I miei obiettivi sono tanti. Il primo, è vincere un premio Nobel per la pace (non so ancora come fare); un altro, è girare il mondo con le mie amiche; ma quello più grande è diventare un art director. Infatti ho scelto la mia facoltà (scienze della comunicazione) appunto per questo lavoro. Una persona che si trova in tale ambito mi ha detto: è difficile ma non impossibile. Io sono pronta a fare tanti sacrifici, perché nessuno mi può distogliere dai miei obiettivi e dai miei sogni. Neanche la sedia!”