5 anni dopo a piazza Castello scoppia non una bomba ma la coscienza di ReggioNonTace

Ormai è diventato un appuntamento obbligatorio, quello del movimento ReggioNonTace che ogni 3 gennaio chiama i reggini a raccolta in piazza Castello: “continua a essere una data importante, non perché costituisce la nostra data di nascita, ma perché l’abbiamo vissuta, insieme a tanti cittadini di Reggio, come uno schiaffo che ci ha costretti a svegliarci dall’intorpidimento della Coscienza. È stato uno schiaffo salutare, perché ci ha resi più responsabili di ciò che siamo soliti vivere come qualcosa che accade naturalmente; e invece ci chiude nella morsa della paura o, peggio, dell’indifferenza. Dopo cinque anni, corriamo il rischio di riaddormentarci in una presunta normalità, e persino nell’illusione che qualcosa sia cambiato. E invece l’unica cosa che è cambiata è che ormai sappiamo che dipende solo da noi se vogliamo che tutto ricominci e continui come prima”. Queste alcune delle parole diramate per tenere sveglie le coscienze.

rnt 2Sono passati 5 anni dal 3 gennaio 2010 quando, alle 4,50, scoppiò una bomba dinanzi al portone della Procura generale di Reggio. Dallo scorso anno, come racconta Giovanni Ladiana, “un gruppo di credenti ha deciso di ritrovarsi alla stessa ora sul marciapiedi di fronte alla Procura generale, per pregare intorno alla lampada che ha portato la Luce da Betlemme. Per noi quella bomba non è stata una sconfitta, ma l’intuizione d’una nuova Luce: quella della responsabilità della nostra Coscienza, di Uomini e Donne e di credenti”. Attorno al gesuita che ha fondato il movimento ReggioNonTace ci sono tante persone. Mai abbastanza: il cammino del risveglio è lungo, dicono i silenzi che urlano più delle parole.
Accanto a lui testimoni d’eccezione, pronti a portare il proprio esempio. Michele Albanese, giornalista sotto scorta da qualche mese, don Pino De Masi, parroco di Polistena e referente di Libera, Antonino De Masi, imprenditore che racconta commosso: “Ho conosciuto il volto buono dello Stato, i magistrati e le forze dell’ordine che sono stati al mio fianco, esortandomi a non mollare: ho capito che la mia angoscia era minoritaria rispetto al bene principale. Ho deciso di continuare per non indicare ai nostri figli la strada della fuga. La nostra collusa omertà sta facendo scappare i nostri figli da questa terra”.

rnt 1Giovanni Ladiana non fa sconti. Vorrebbe molta più gente pronta a ribellarsi: “C’è la ribellione della gente? Quella ventata di aria pulita animata dalla voglia di ribellarsi che c’era stata dopo la bomba si è calmata, purtroppo. Dopo cinque anni corriamo il rischio di riaddormentarci in una presunta normalità, e persino nell’illusione che qualcosa sia cambiato. Invece l’unica cosa che è cambiata è che ormai sappiamo che dipende solo da noi se vogliamo che tutto ricominci e continui come prima”. Lotta dura e costante, la sua. Innanzitutto contro quel “mare d’indifferenza” in cui pare siano “isolati alcuni dei magistrati che più hanno lavorato per la liberazione dalla ‘ndrangheta stanno ricevendo minacce”. Non bastano, al padre gesuita, “i comunicati d’occasione”. Non basta neppure quel cartello alzato dalle mani di chi continua a metterci la faccia: BASTA SILENZIO! SOLIDARIETÀ CON LA MAGISTRATURA REGGINA!
Ha le idee chiare: “Abbiamo deciso di sfidare tutti alla partecipazione: cinque anni fa, solo col passaparola e coi mezzi che abbiamo – cellulari, telefoni, internet, facebook – in poche ore ci radunammo in oltre trecento. Certo, quella volta c’era l’ondata d’emozione del momento; ma questo non può essere un alibi. Non ci accontenteremo di questa manifestazione. Entro metà gennaio, organizzeremo un incontro pubblico per esprimere la nostra solidarietà alla Procura – sperando che qualcuno dei procuratori possa parteciparvi – e per decidere insieme quali strategie mettere in atto per diventare «scorta civica della Procura»”.

La sintesi della serata nel video di Antonio Ciro: