Carlo Tansi: vorrei fare i nomi di chi blocca la Protezione Civile in Calabria. Senza risposte mi dimetto

58 condivisioni, 80 commenti, oltre 200 like. In crescita continua. È passata un’ora da quando il responsabile della Protezione civile calabrese Carlo Tansi ha scelto Facebook per offrire la triste fotografia dell’immobilismo di politica e burocrazia che impedisce alla sala operativa da lui diretta di essere quello che dovrebbe essere. Operativa, appunto.

Pochi giorni fa, durante la riunione in prefettura a Catanzaro era stato chiaro e diretti, Tansi: “Più della metà dei terremoti catastrofici che si sono verificati in Italia hanno avuto origine in Calabria, sismi che hanno sprigionato un valore energetico 32 volte superiore rispetto a quello di Amatrice. Per questo occorre non perdere altro tempo”. L’incontro aveva evidenziato che solo il 54% dei Comuni calabresi ha un piano di emergenza (pochissimi di questi aggiornati dopo il 2012). “Negli anni sono stati stanziati centinaia di migliaia di euro per l’approvazione dei piani di emergenza: il 90% di questi fondi pur essendo stati erogati non sono mai stati utilizzati dalle amministrazioni”.

Accuse pesanti. Poi il silenzio.
Così stamattina arriva lo sfogo diretto sul social network. E tempi strettissimi per chi continua nell’immobilismo: Carlo Tansi promette dimissioni se non arriveranno risposte.

Tansi dimissioniLa sala operativa della protezione civile regionale continua a bloccarsi ogni volta che temporale fa andare via la luce. Anche i sistemi informatici sono inesistenti e quando esistono sono fatiscenti e inadeguati per la gestione di grandi emergenze. Tutto questo accade nella regione tra le più esposte al mondo ai rischi naturali. Queste condizioni mettono seriamente a in pericolo la sicurezza dei calabresi in caso di calamità. Esistono fondi europei che potevano risolvere queste condizioni di fantascienza della protezione civile regionale ma che rischiano di perdersi perché continuano a restare bloccati su quella maledetta scrivania di una funzionaria burocrate. Avrei voluto fare il suo nome e cognome. Così come non riesco ad ottimizzare la organizzazione di un personale professionalmente inadeguato e spesso non particolarmente affezionato al lavoro a causa di un micro-sindacato che ne ha bloccato il processo di riorganizzazione che avevo avviato da mesi, che difende interessi indifendibili attaccandomi pubblicamente dal primo giorno del mio insediamento e che nei giorni scorsi mi ha anche citato in giudizio per diffamazione a seguito di alcune dichiarazioni pubbliche apparse su Facebook su questo stato di cose. Anche in questo caso avrei voluto fare nome e cognome. E questa è solo la punta di un enorme iceberg di difficoltà che sto incontrando nell’espletamento nelle mie funzioni di dirigente: a causa di un perverso sistema burocratico-sindacale alimentato da certa politica animata da “faide” interne, ogni banale pratica si trasforma quotidianamente in un muro di gomma circondato da sabbie sempre più mobili che impediscono il cambiamento. Con uno sfogo appassionato, giovedì scorso ho comunicato questa mia situazione di frustrazione e disagio ad uno dei massimi rappresentanti dei vertici politici della regione. Mi ha detto che sono tenuto ad osservare il comportamento deontologico che la legge mi impone in qualità di dirigente e che devo manifestare un comportamento più consono al mio ruolo: non posso palesare le mie difficoltà. Da persona libera, che ha sempre rispettato la altrui libertà, non posso reggere questa condizione. Non mi rimane che dimettermi se queste situazioni non si risolveranno entro la prossima settimana.