di Paola Bottero
Due palloncini a forma di cuore. Rossi. All’estremità del filo due mani che oggi si sono strette anche davanti alla legge: quelle di Bernadette e Fatima, che stamattina sono state le prime donne a firmare il registro delle unioni civili a Reggio Calabria. Escono da palazzo San Giorgio, riempendo piazza Italia con il loro amore appena suggellato proprio quando davanti all’altro palazzo della piazza, quello della Prefettura, l’assembramento di giornalisti, telecamere e varia umanità sottolinea l’arrivo delle autorità.
La Presidente della Camera Laura Boldrini le vuole abbracciare. È appena arrivata in città con la ministra Elena Boschi e la presidente della Commissione Antimafia Rosi Bindi. Tre B che sono tre pezzi da novanta, attese dal Prefetto Michele Di Bari, dal Procuratore Federico Cafiero de Raho, dal Presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria Luciano Gerardis, dal governatore Mario Oliverio, dal sindaco Giuseppe Falcomatà, dal Presidente del Consiglio regionale Nicola Irto e da buona parte dei consiglieri e assessori regionali. I sindaci, arrivati da tutta la regione, aspettano sul Lungomare, vicino a piazza Indipendenza, da dove partirà il corteo. Anche i ragazzi sono là ad aspettare, molti con altri palloncini rossi.
All’Arena dello Stretto alcuni hanno già preso posto. Si fanno le prove microfoni. Un coro di ragazze e ragazzi molto emozionati ripassa l’inno nazionale. Chi prova le inquadrature. Chi si sistema il trucco e la mise d’ordinanza.
Parte da quei due cuori rossi e dagli altri palloncini che hanno colorato questo 21 ottobre, la fotografia di una giornata alla quale sono contenta di aver preso parte. Al di là delle polemiche. Al di là delle parate. Al di là della ressa e degli intrecci di obiettivi e microfoni per strappare qualche dichiarazione durante il corteo.
Contenta. Di più. Orgogliosa. Perché stamattina nell’Arena c’erano proprio tutti. O quasi. C’erano donne come Isolina Mantelli e il suo/nostro Mondorosa. Come Matilde Spadafora Lanzino, con una fascia tricolore e il gonfalone di Cosenza che non le sono bastate a coprire la ferita ancora sanguinante di Roberta. C’era la Commissione regionale delle Pari Opportunità, dodici donne strette intorno alla neo Presidente Cinzia Nava. C’era Antonio Marziale, garante per i diritti dell’infanzia. C’era Daniela De Blasio. C’era Maria Stella Ciarletta, che ha “condotto le danze” sul palco. Ma c’erano, soprattutto, tanti, tantissimi studenti. Arrivati da Soverato, da Catanzaro, da Melito, da Reggio, da tante scuole del territorio. Per esserci, ancora prima che per giocarsi un giorno di scuola. Bastava ascoltarli mentre parlavano piano in gruppo durante il corteo. O ascoltare il loro silenzio attento mentre sul palco gli interventi dei loro compagni si alternavano con quelli delle autorità.
Era molto tempo che non sentivo davvero una piazza. Molto tempo che stare in mezzo alla gente mi metteva un po’ di disagio, perché mi sembrava di cogliere l’assuefazione quasi indifferente alla presenza. Stamattina la piazza c’era. C’era l’Arena. C’era la voglia di dire che la Calabria è altra. E non ha voglia di stare in silenzio nascondendosi dietro le persiane di un finto perbenismo per spiare ciò che succede fuori.
A cosa serve manifestare? A cosa serve scendere in piazza, partecipare a cortei, ascoltare le “solite” parate fatte di parole e di promesse? Forse a niente. Forse a poco. O forse sono quelle gocce nell’oceano di cui parlava madre Teresa di Calcutta: se non ci fossero l’oceano ne sentirebbe la mancanza. Se non ci fossero ne sentirebbero la mancanza la ragazza di Melito, le ragazze che hanno denunciato soprusi e violenze e tutte le ragazze che non sono ancora riuscite a uscire dai sensi di colpa costruiti con il silenzio sociale (ma, ahimé, non social).
Stamattina non è stata una giornata contro la violenza sulle donne, no. Oggi è stata una giornata di amore. Un 21 ottobre importante non solo per Bernadette e Fatima, non solo per la ragazza di Melito, ma per ciascuno di noi. Anche per chi è venuto solo perché non poteva non esserci. Anche per chi avrebbe voluto esserci. Ma soprattutto per chi ha preferito non esserci.