Basta alle tendopoli per i migranti della Piana di Gioia

da Giovanni Cordova*

Qualsiasi tentativo di restituire dignità ai braccianti stagionali e ai migranti stanziali della piana di Gioia Tauro non può che passare dal superamento del modello-tendopoli, fonte di ghettizzazione e marginalizzazione sociale. Immaginare di superare tali criticità senza un radicale mutamento della logica che ha condotto, in questi anni, a rendere San Ferdinando il più grande ghetto d’Italia, dimostra di non voler perseguire un netto superamento di questo sistema.

È questo il senso dell’odierna manifestazione lanciata dal Coordinamento braccianti agricoli USB e alla quale, insieme a diverse realtà politiche e sociali, hanno aderito il Comitato Solidarietà Migranti (Co.S.Mi.), l’Osservatorio per il Disagio Abitativo della città di Reggio Calabria (costituito da Un Mondo di Mondi, CSOA Cartella, CSC Nuvola Rossa e Società dei Territorialisti), la rete ‘Restiamo Umani’, la Collettiva Autonomia e Reggio non Tace. Al termine di un lungo corteo partito da quel che resta della tendopoli si è raggiunta la sede dell’amministrazione comunale di San Ferdinando, dove è stata denunciata alle istituzioni la persistenza di un modello concentrazionario – la tendopoli – che produce ghettizzazione, isolamento e alimenta dinamiche politico-sociali di sopraffazione e sfruttamento della vulnerabilità.

Non è un caso che a morire, nel corso dell’incendio divampato tra la notte di venerdì e sabato scorsi distruggendo due terzi della tendopoli, sia stata una ragazza di 26 anni, Becky Moses. Aveva appena cercato rifugio, dopo che – a quanto pare – la sua domanda di asilo politico non era andata a buon fine. È stata uccisa dalle esalazioni e dalle fiamme, ma a condannarla è stata l’impossibilità di vivere in un ambiente che le riconoscesse dignità di persona.

La prima conseguenza di vivere in contesti come la tendopoli è quella della de-umanizzazione. Quale statuto di ‘persona’ può infatti essere attribuito a chi vive in condizioni igieniche disastrose, tra topi e immondizia, sottoposto a persistenti rischi per la propria incolumità – pensiamo alla massiccia presenza di bombole di gas – e costretto a sopportare incontrollate condizioni di promiscuità e sfruttamento sessuale? Per non parlare di un’altra tipologia di sfruttamento, quello della manodopera bracciantile. Ricordiamo a tutti coloro che dovrebbero garantire e tutelare i diritti basilari degli individui che dovrebbero essere le aziende agricole che assumono i braccianti migranti con regolare contratto a dover provvedere all’alloggio per i lavoratori. Eppure così non è e tutto tace nell’imbarazzante silenzio istituzionale.

La nuova tendopoli, inaugurata la scorsa estate con squilli di tromba ed auto incensazioni, non solo non è in alcun modo risolutiva, dal momento che soddisfa in maniera assolutamente insufficiente la domanda di sistemazione di oltre duemila migranti presenti in zona, ma riproduce quel principio socio-abitativo di esclusione e segregazione opposto alla ‘mixité’ sociale che favorisce invece incontro, apertura, scambio, rispetto dei diritti della persona. Giova tenere a mente il dato Istat che certifica la presenza di oltre 35 mila appartamenti vuoti nella sola piana di Gioia Tauro: una concreta ed efficace azione politica non può non partire da un tentativo di riequilibrio del rapporto tra domanda e offerta di alloggi.

Gli attivisti e le attiviste delle realtà firmatarie di questo documento esprimono vicinanza ai migranti della tendopoli e chiedono alle istituzioni di abbandonare una volta per tutte la logica emergenziale con cui sono stati finora affrontati i temi delle migrazioni e dei braccianti agricoli.

* Comitato Solidarietà Migranti (Co.S.Mi.)
Osservatorio per il Disagio Abitativo della città di Reggio Calabria
Rete ‘Restiamo Umani’
Collettiva Autonomia
Reggio non Tace