A Rocco Mangiardi arrivi un unico messaggio: grazie, grazie da tutti noi

roccoLui è Rocco Mangiardi, un mio carissimo amico, una delle persone più importanti della mia vita. È uno dei pochi che ha fatto una scelta coerente con gli ideali di giustizia e onestà che tanti professano. Ogni giorno lo vive col sorriso e con la speranza di un mondo migliore, dove sempre più persone scelgano di combattere contro la mafia, contro la merda di mafia e camorra e ‘ndrangheta, contro il silenzio e la connivenza, contro la paura che fa chinare la testa. Rocco è un uomo dolce e forte, un uomo semplice che mi dice sempre che non è un uomo straordinario, ma io so che lo è.
La vigilia di Natale quelli che lo temono, quelli che lo vorrebbero cancellare hanno tentato per l’ennesima volta di fargli arrivare un messaggio. Io voglio che adesso siamo noi a dargli i nostri messaggi. GRAZIE Rocco Mangiardi, grazie amico mio.

La firma è di Luciana Monaci, ma potrebbe essere di ciascuno di noi. Chiunque abbia avuto la fortuna di conoscere Rocco non può che fare proprie le parole che da qualche ora rimbalzano su Facebook. Chiunque non creda che vivere onestamente sia inutile non può che ringraziare Rocco per l’esempio di integrità e semplicità che ogni giorno ci regala, indicandoci l’unica via possibile: quella della giustizia.

L’indignazione, rossa come lo spray della bomboletta utilizzata per l’intimidazione, corre veloce sul social. La notizia della croce rossa comparsa sul contenitore della plastica e del vetro nel condominio dove abita Rocco Mangiardi, imprenditore lametino che anni fa ha denunciato i suoi estorsori, contribuendo a numerosi arresti nei confronti del clan Giampà, risale alla vigilia di Natale, ma viene resa nota solo oggi. Sul posto, allertati dallo stesso Mangiardi, sono giunti gli uomini della polizia scientifica ed il commissariato di Lamezia ha avviato le relative indagini. Da una prima ricognizione sul posto sembra che a 200 metri dall’abitazione di Mangiardi siano state disegnate croci identiche su alcuni pali dell’illuminazione pubblica.

Immediate le reazioni. Di chi lo conosce e di chi lo segue. Di chi ha avuto modo di sentire la forza del suo no.
Ecco alcune tra le solidarietà istituzionali.

Gianni Speranza, sindaco di Lamezia Terme
Esprimo a Rocco Mangiardi la mia vicinanza personale insieme a quella dell’amministrazione comunale e di tutta la comunità lametina. Rinnovo i sentimenti di amicizia e di stima a un padre di famiglia e a un imprenditore che in questi anni ha rappresentato la Lamezia “con la schiena dritta” che reagisce ed è capace di compiere grandi gesti di dignità e di libertà per amore dei propri figli e della propria comunità.
I successi della Magistratura e delle Forze dell’Ordine di questi ultimi anni contro le cosche lametine il risveglio civile della nostra comunità contro la mafia e la mentalità mafiosa sono legati a persone che come Rocco Mangiardi hanno avuto il coraggio di parlare e di ribellarsi, dando a tanti altri imprenditori la forza di reagire e spingendo ognuno di noi a essere protagonista in prima persona della costruzione di un futuro migliore per la nostra terra. All’amico Rocco, dico che tutta la comunità lametina è al suo fianco e lo ringrazio per essere protagonista ogni giorno, con la sua vita e il suo lavoro, del riscatto civile e morale della nostra città.

Tano Grasso, presidente onorario della Fondazione antiracket italiana
La testimonianza di Rocco Mangiardi segna una forte rottura nella realtà di Lamezia Terme e della Calabria: è stata chiara, nitida ed ha individuato fatti e responsabilità precise. Quando si punta l’indice contro i propri estorsori, niente è più come prima. Stamani, questo indice è stato alzato per individuare delle precise responsabilità. Il mio auspicio, adesso, è che si inneschi un processo a catena. E cioè che, dopo la testimonianza di Mangiardi, altri imprenditori si espongano, così come avvenuto a Palermo un anno fa, quando dopo un processo come questo di Lamezia si sono registrate decine di testimonianze. Quella di Lamezia Terme, a questo punto è una situazione sulla quale le istituzioni devono esercitare la massima attenzione. Un’attenzione che è dimostrata dalla presenza in Tribunale, in occasione della deposizione di Mangiardi, del Prefetto di Catanzaro.

Costantino Fittante, presidente Centro Riforme – Democrazia – Diritti
Apprendiamo delle minacce a Rocco Mangiardi. A nome mio e del Centroche presiedo, esprimo la solidarietà e la vicinanza a Rocco e alla sua famiglia. Per quanto è nelle nostre possibilità, Rocco non sarà lasciato solo.
Il 9 gennaio 2009, quando Mangiardi ha testimoniato nell’aula del Tribunale di Lamezia indicando senza esitazione l’autore delle richiesta di “pizzo”, ha costituito uno spartiacque. E’ anche grazie a lui se altri imprenditori hanno alzato la testa, denunciato le estorsioni, contribuito alle operazioni delle forze dell’ordine e degli inquirenti che hanno portato allo smantellamento di due delle più agguerrite cosche lametine.  La minaccia a Mangiardi sta ad indicare che c’è chi negli ambienti di ‘ndrangheta si fa avanti per ricucire i gruppi colpiti dalle operazioni che hanno portato agli arresti e alle condanne dei mesi scorsi. La Città, le forze sociali ed i partiti, devono coralmente mobilitarsi per bloccare da subito questo tentativo di ripresa delle pratiche delittuose. Tutti dobbiamo ricordarci la scomunica che Papa Francesco ha rivolto agli appartenenti alla mafia e accogliere le esortazioni della Conferenza Episcopale Calabra: schieraci, scegliere da che parte stare, isolare la delinquenza organizzata, affermare i valori ed i principi della convivenza civile, della solidarietà,della legalità. In tale direzione noi ce la metteremo tutta.

Cgil Catanzaro
L’esempio di come si può vivere in una società a testa alta e dignitosamente ci è offerto quotidianamente da Rocco Mangiardi, al quale la CGIL di Catanzaro vuole esprimere la propria vicinanza e solidarietà, dopo l’ennesimo atto intimidatorio perpetrato ai suoi danni nei giorni scorsi. Condanniamo fermamente coloro i quali, diversamente, agiscono di nascosto, al buio, e scambiano la vigliaccheria delle loro azioni per coraggio e forza. La CGIL continuerà a battersi contro la ‘ndrangheta per affermare la legalità accanto alle persone come Rocco Mangiardi, grazie al quale è stato possibile infliggere un duro colpo alle cosche lametine.

Ala, ass. antiracket Lamezia
Le croci rosse disegnate nei pressi dell’abitazione di Rocco Mangiardi e della sua famiglia, hanno suscitato la rabbia e l’indignazione nelle tantissime persone per bene che vivono nella nostra città. Ancor di più queste emozioni le ha provate chi in questi anni è stato sempre nelle stesse trincee nelle quali Rocco ha giganteggiato con il suo coraggio e il suo esempio. Quelle persone, commercianti e imprenditori che hanno seguito il suo esempio ed hanno contribuito fattivamente alla totale disarticolazione di alcune delle cosche lametine, e altri che al loro fianco hanno “testimoniato” dove serviva, da quale parte bisogna stare. Tutte queste persone saranno sempre al fianco di Rocco oggi e ogni qualvolta sarà necessario.
Ci piace poter dire comunque che queste croci esprimono solo la debolezza e la disperazione di chi le ha disegnate, che ha certamente capito che dopo il 9 gennaio del 2009 con la testimonianza di Rocco in Tribunale e decine di colleghi nell’aula ad ascoltarlo, Lamezia ha preso una direzione ben precisa e non ci sono ostacoli o incertezze che la possano far cambiare.

rocco mangiardichi è Rocco Mangiardi
cronaca di una testimonianza [gennaio 2009]
di Giovanni Bianconi per Corsera

Il testimone è seduto su un lato dell’aula, i giudici alla sua sinistra e gli imputati di fronte. Racconta di quando, poco più di due anni fa, qualcuno si presentò al suo negozio per chiedere il «pizzo». Volevano 1.200 euro al mese «da destinare a zio Pasquale», dice. «Chi è zio Pasquale?», domanda il pubblico ministero. «Pasquale Giampà», risponde il testimone, che è pure parte offesa. «È presente in quest’aula?». Il testimone alza il dito indice, lo punta verso l’uomo sistemato a pochi metri di distanza, fra i due avvocati difensori, e dice: «Sì, è lui». È la prima volta che accade in Calabria: una vittima del racket che accusa pubblicamente i suoi estorsori (presunti, fino al verdetto, ma altri imputati per lo stesso fatto sono già stati condannati col rito abbreviato) in un’aula di giustizia. Non era mai successo in terra di ‘ndrangheta, e forse per questo tra i curiosi accalcati dietro i banchi degli avvocati ci sono facce note alle cronache: il prefetto di Catanzaro Sandro Calvosa, il sindaco di Lamezia Gianni Speranza, il leader delle Associazioni antiracket Tano Grasso. Gli ultimi due si sono costituti parti civili contro gli accusati, ma la loro presenza è il segno che questa testimonianza vale molto di più del singolo processo. L’uomo che accusa si chiama Rocco Mangiardi, ha 53 anni, basso di statura e piglio deciso.

Gestisce un magazzino di autoricambi in via del Progresso, il cuore commerciale della città. Spiega che dopo quella visita cercò in tutti i modi di farsi almeno ridurre la quota da pagare. Si mise in contatto con gente vicina allo «zio Pasquale », che lui sapeva essere il boss della zona, «per risolvere il problema». Uno di loro, Vincenzo Torcasio, è stato arrestato ieri insieme ad altre tre persone, in una nuova operazione antiracket della polizia, anch’essa resa possibile grazie alla collaborazione della vittima dell’estorsione. Per Mangiardi non ci fu niente da fare: «Mi dissero che potevano scendere a 500 euro, ma se non volevo pagare dovevo chiudere». Poi fu avvicinato da una persona che conosce da sempre: «Suo padre è mio cliente, mi prese da parte e mi disse che poteva organizzarmi un incontro chiarificatore con lo zio Pasquale ». Il pubblico ministero ripete la domanda: «È presente in quest’aula?». Rocco Mangiardi alza il dito per la seconda volta, indicando l’imputato Antonio De Vito, seduto accanto a Giampà e agli avvocati difensori: «Un giorno mi convocò nel suo ufficio — continua —, mi fece entrare in una stanza dove c’era Pasquale Giampà e disse che dovevamo uscire solo dopo aver trovato l’accordo ». Ma nel faccia a faccia con il boss l’accordo non si trovò: «Giampà era arrabbiato perché avevo cercato altre persone, mi disse che quando lo seppe voleva bruciarmi il magazzino, e che se volevo la protezione di altri dovevo trasferirmi nella loro zona.

Io replicai che volevo solo attenuare il danno, e proposi 250 euro al mese. Lui rispose che non chiedeva l’elemosina, e che in via del Progresso pagavano tutti, dalla A alla Z». Gli imputati fissano il testimone, che sembra sempre più piccolo ma non si ferma: «Io non voglio pagare gente che non lavora per me, e che so che userà i miei soldi per comprare proiettili, bombe e benzina. Preferisco assumere un padre di famiglia, ma subire un’estorsione no». Poco dopo l’incontro con Giampà, lavorando su un’altra indagine, la polizia ebbe il sospetto che Mangiardi fosse ricattato dal racket. Fu convocato in questura, ma negò tutto. Aveva paura. Gli misero una microspia nell’automobile e intercettarono un dialogo nel quale l’uomo confidava alla moglie la tentata estorsione. Lo convocarono di nuovo, gli contestarono quel colloquio, Mangiardi vuotò il sacco: «Non posso più negare», e raccontò la storia che ora ripete in aula. Quando tocca a loro, i difensori degli imputati tentano di farlo cadere in contraddizione, ma il testimone insiste nella sua versione. Gli chiedono se ha avuto soldi dall’Associazione antiracket, e perfino se abbia avuto una relazione sentimentale che gli dava dei problemi. Il presidente del tribunale non ammette le domande, il clima si fa pesante. Su domanda dei giudici viene fuori che il padre dell’imputato De Vito, poco tempo fa, s’è presentato al negozio di Mangiardi: «Mi ha chiesto se potevo aiutare suo figlio, per tirarlo fuori dal processo. Io lo capisco, ma non ne ho la possibilità ». La deposizione è finita, il testimone esce dall’aula accolto dagli amici dell’antiracket e dagli agenti di scorta. Glieli hanno assegnati dopo la pubblicazione di notizie su un presunto progetto d’attentato, non si sa bene a quale magistrato. Un disagio e una preoccupazione in più per Mangiardi, l’uomo che ha detto no al «pizzo» e ha puntato il dito contro chi lo pretendeva. Tano Grasso lo abbraccia: «Il nostro auspicio è che altri imprenditori seguano il suo esempio ed escano allo scoperto, com’è successo in Sicilia». E il sindaco Speranza: «Gli siamo grati, può segnare l’inizio di una nuova era». E’ quel che ripeterà giovedì prossimo a al capo dello Stato durante la sua visita in Calabria, terra di ‘ndrangheta e ora anche di qualche testimone.”