di Josephine Condemi –
I messinesi, soprannominati Buddaci come il pesce dello Stretto che sta con la bocca aperta, cominciano un discorso e lo girano in lungo e in largo, come per inconcludenza, ma il fatto è che temono di essere zittiti dai boati e dagli scoppi della terra, quando la voce si strozza in gola e nessuno fiata, finché non finisce il silenzio di uomini e bestie, e scoprono che il terremoto gli è passato sulla testa e sotto i piedi, e pallidi riprendono fiato e hanno la voce che trema, e soltanto allora urlano e pregano e imprecano, ringraziano i santi o li bestemmiano, e il sonno non è più lo stesso, la sensazione del sangue che si ghiaccia nelle vene è incancellabile, e anche quando l’abitudine a vivere in mezzo a tali sconvolgimenti sembra saldamente radicata, è vero che non è così, perché la morte è sempre presente.
Jolanda Insana
[cit. in D. Tomasello, Un assurdo isolano]
La parola centrifuga gira intorno, non arriva al punto perché il punto, in qualche modo, fa male, va rimosso, per convenienza o, talvolta, sopravvivenza. La parola centrifuga ingaggia continuamente la lotta contro il tabù, prendendolo per il naso. #TwPinocchio ha nuotato nello Stretto, questa settimana. Era lunedì 19, per l’esattezza.
Avrei voluto raccontarvi le storie che bambini e ragazzi hanno creato, scritto, disegnato e che le docenti hanno pubblicato su Twitter senza sosta per tutta la giornata. Storie di cui avremmo parlato il giorno dopo, martedì 20 gennaio, nell’ultimo laboratorio peer-to-peer al “Da Vinci”, insieme a studenti e insegnanti dell’IC “Falcomatà-Archi” e dell’IC “San Sperato-Cardeto”. Ma. «C’è una serranda al piano di sotto? Altrimenti è terremoto», mi dice la prof.
Non ho sentito la scossa. In aula magna sta per arrivare una rappresentanza delle diciotto classi coinvolte nel progetto, saremo tanti. Troppi? Arriva la dirigente, sì, stiamo bene, valuteranno se far evacuare l’istituto o meno. Come garantire la sicurezza di tutti? Intanto spostiamo le sedie, cercando di non ostruire le vie d’uscita. Spengo i social, leggere centrifugamente “terremoto” non mi pare utile.
Certo prof, proviamo a farlo il laboratorio, con chi c’è, ma gli altri? Le classi che devono arrivare chiamano per avere informazioni e no, a questo punto meglio non partire (le dirigenti confermano): laboratorio ufficiale rinviato. I ragazzi connessi sui social ci comunicano che alcuni sono già fuori, che i genitori chiedono cosa fare, qualcuno è già arrivato di persona a prendere i figli. Ma non sono state date disposizioni di evacuazione e non è detto che la scossa si ripeta. Calma. Approfittiamo per ripassare molto velocemente le uscite di sicurezza e il punto di raccolta, Piazza De Nava. Evitiamo i gruppi interclasse così che ogni insegnante abbia vicino la propria, solo i ragazzi di terzo superiore si sposteranno per facilitare la conversazione. Ma.
Rimbalzano foto di scuole evacuate. Arrivano voci “certe” di un’ordinanza sindacale, poi di una prefettizia. Lasciati gli studenti del “Da Vinci”, i ragazzi delle medie vengono presi dai genitori a Piazza de Nava. Perché il punto, che fa male, e viene spesso rimosso, è che la sicurezza e l’agibilità di tutte le scuole (vecchie, nuove, ristrutturate) e degli edifici cittadini, specie se pubblici, sono un tabù. Meglio non pensarci, e neanche informarsi. Meglio rimanere nel dubbio. E ritenere, tutti insieme, per questa volta, di averla scampata. Nessun danno a uomini e cose. Mica siamo messinesi.







